sabato 17 agosto 2013

BORGOTARO: QUALCOSA CHE CONOSCO. "Quella notte sul mar Adriatico"

QUELLA NOTTE SUL MAR ADRIATICO

Quando, girando le nostre frazioni, mi imbatto nelle lapidi che recano i nomi dei caduti nelle varie guerre, osservo con attenzione i visi, le età, i fronti di guerra in cui è avvenuto il decesso.
Cerco di immaginare le paure, gli sgomenti di questi giovani mandati in terre straniere, lontane a combattere una guerra per i più incomprensibile. Giovani spesso privi di ogni esperienza, che solo raramente si erano allontanati dalle loro case sperdute nelle varie frazioni del nostro Comune.
In particolare mi hanno sempre colpito i militari deceduti in mare.
Nella lapide che ricorda i caduti della guerra 1940-45, murata contro la facciata della chiesa di Caffaraccia, il primo nome che si legge è quello di Primo Bordi(classe 1921). Accanto al nome vi è la foto e la scritta “ affon. 8.3.42. mar Adriatico .
Ogni volta che mi è capitato di leggerla, ho sempre pensato alla morte orribile di chi magari è stato costretto a gettarsi in mare, sapendo di non essere capace di nuotare, com’era normalmente per i giovani di campagna. I nostri giovani, per la maggior parte, venivano arruolati nelle truppe alpine e quindi, in teoria, con il mare non avrebbero dovuto avere a che fare, ma per raggiungere i vari fronti era spesso necessario navigare. Così era accaduto a Primo, alpino della Julia, appartenente al battaglione “Gemona”. Nel marzo del 1942 si trovava a combattere in Grecia, quando arrivò per la Julia l’ordine di rimpatriare. Non si trattava, però, di un ritorno a casa, anzi la nuova destinazione era la Russia!
Dopo una marcia di 160 km. a piedi, uomini e muli vengono caricati sulle navi. Il convoglio composto di sei navi parte. Primo si trova sulla “Galileo”: sono 1275 uomini, tra equipaggio e alpini. Il mare è mosso, fa freddo: non si riesce a dormire. Verso le 21, dopo qualche ora di viaggio, un boato fa sobbalzare tutti. La “Galileo” si piega sul fianco destro. Subito dopo, un secondo siluro fa inclinare la nave sul fianco opposto. A bordo domina il terrore. Molti indossano il salvagente, molti si portano alle ringhiere per gettarsi, alcuni lo fanno finendo risucchiati dallo squarcio provocato dal siluro, altri gridano aiuto, altri ancora pregano. La nave, sempre inclinata, avanza adagio. Le altre sono ormai scomparse alla vista. Verso l’una si scatena un furioso temporale, il mare ribolle. Un marinaio, mandato dal comandante, urla un ordine terribile: “Si salvi chi può”. Si alzano grida disperate. La nave da qualche tempo è ferma. Gli alpini cominciano a calare in mare le scialuppe cariche di uomini, ma difficilmente riescono ad allontanarsi dalla nave contro la quale vanno a fracassarsi. Allora cominciano a lanciare in mare tutto quanto possa galleggiare e una pioggia di uomini si lancia. Tutti cercano qualcosa cui aggrapparsi, ma pochi sono i fortunati che vi riescono.
Tra questi, Adelmo Ravazzoni di Langhirano che ci ha lasciato una memoria scritta di quella terribile notte. Su 1.275 imbarcati, si salvarono in meno di trecento. Che fine fece Primo Bordi? Non lo sapremo mai. Possiamo soltanto immaginare le ansie, il terrore, la disperazione di un soldato che pensa alla morte sul campo di battaglia, con un’arma in mano, e che si trova invece impotente, a bordo di una nave, in attesa di una morte sicura e inevitabile.


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