giovedì 22 agosto 2013

LABORATORIO: (parter 2^) Quando eravamo francesi

Quando eravamo francesi(1804-1814) (parte 2)

Gli avvenimenti descritti trovano puntuale conferma negli appunti lasciatici da un altro parroco della zona: don Antonio Gennari, parroco di Pieve di Campi.

In un fascicoletto dal titolo " Memorie di fatti parziali avvenuti in questa Parrocchia e generali avvenuti in questi paesi e altrove", scrive: "Il giorno 26 maggio dell'anno 1799, trovandosi un piccolo staccamento di Tedeschi[1] a Borgotaro, Bardi e Compiano, un grosso corpo di truppe francesi, Liguri e Cisalpine[2] collegate assieme in giorno di Domenica discese dal Monte di Cento Croci calcando la strada mulattiera sino a Spallavera di San Quirico, da dove adocchiando un piccolo corpo di Tedeschi che sulla ghiaia della Gotera[3] unitamente ad un gruppo di miliziotti nostrali[4] avviavasi a detto monte Cento Croci, calò rapidamente alla detta ghiaia della Gotera per cominciare la disputa coi detti Tedeschi e miliziotti nostrali che, conosciuti i nemici ed assalitori voltarono i passi verso il Palazzo della Brugnè ove seguì un ostinato fucilamento da ambedue le parti senza morte di un uomo. I miliziotti nostrali si dissiparono, et obierunt unusquisque in domum suam[5], i Tedeschi inferiori assai di numero ai Francesi ritiraronsi a Borgotaro e serrarono le porte, e a notte avanzata partirono secretamente e s'incamminarono alla volta di Parma e così la mattina seguente[6] i Francesi non trovarono più ostacoli a detto Borgo che fu obbligato a provederli d'ogni maniera di viveri.

Dopo tre giorni arrivò altra numerosa truppa francese discesa da Cento Croci che divisa in due colonne, una calò alla parrocchia di Campi, e l'altra transitò per la Costa della Marzola, calò a Boniceto e passò in seguito nel piazzale di questa chiesa e tenendo la strada del Cornale[7] andò a unirsi con la colonna arrivata a Campi, ove si accamparono nei boschi castaneati di La Valle, la Pellizzera, Cacciaguerra e Menino in veduta del Castello di Compiano presidiato da centoventi tedeschi all'incirca.

Sarebbe una memoria seccante l'indicare i danni particolari e generali arrecati in tali circostanze dalle truppe francesi, e tedesche per vivere e per alloggiare sotto baracche formate con colonne e scorze di castagno che il ferro niente perdonò alla più bella e migliore alberatura, e il danno per questo solo titolo faceasi montare a duemila scudi di Francia.

La mattina dell'11 giugno essendo calato giù dall'anzidetto monte di Cento Croci altro corpo di truppa Francese (tutti quei corpi formavano la divisione del Generale Victor, che passò a Campi) ed unitosi all'accampamento o armata di Campi, alloggiarono in questa canonica nove Ufficiali francesi, ed un colonnello con sei soldati di loro servigio, ove tutti pranzarono in questa saletta. Tutta la truppa andò poscia a Borgotaro, ove pernottò[8], indi passò a Parma per unirsi all'armata di Mac Donald in ritorno da Napoli per battere i tedeschi e Russi. Ma come si sa alla famosa battaglia della Trebbia che durò tre giorni, fu invece battuto e sconfitto".

Le preziose testimonianze tramandateci dai due parroci, trovano ulteriore conferma in alcune lettere che la Comunità invia al Duca.

La prima è dell'11 agosto 1799 e dice: "…indotti dal peso delle circostanze si fanno coraggio […] di rappresentare alla Sovrana Vostra comprensione lo stato del bisogno urgente ove si ritrovano di essere soccorsi di frumento e di melica per la somministrazione del Pane e foraggio alle Truppe Austriache che sono per transitare ed alloggiare nel nostro Territorio. L'attuale siccità sottrae anch'essa il comodo della macina per cui fa desiderare col frumento, la provvidenza che fosse macinato e ridotto in farina …"

Si aggiunge pure che "…le forze della riferita popolazione ormai più non reggono dopo le longhe prestazioni fatte alle Potenze belligeranti…"

In un'altra lettera del 2 settembre si chiede ancora una volta il permesso di poter acquistare vino forestiero poiché "…la popolazione di Borgo Taro trovasi al sommo sprovveduta di vino tanto venale[9] quanto per uso delle particolari famiglie attese la consunzione di esso fattasi in occasione del passaggio e dimora delle truppe estere".

E ancora qualche giorno dopo si fa presente che "li continui soccorsi prestati dalla Comunità di Borgo Taro alle Truppe delle Potenze Belligeranti hanno esaurito non solo il Civico Erario, ma la prima Tassa di provvisionale sovvenzione dalla Reale Vostra mente convalidata…La giornaliera sussistenza di replicate gravi spese onde provvedere ai nuovi bisogni delle dette Truppe, toglie ogni mezzo onde coprire il vuoto dei lunghi debiti contratti a fronte di una viva pressante necessità…" e si chiede la facoltà di imporre un secondo prestito.

Non c'è da meravigliarsi se in tali frangenti, molti consiglieri della Comunità disertassero le sedute dei Convocati. Queste assenze che spesso invalidavano le riunioni proprio nel momento in cui gli avvenimenti richiedevano decisioni urgenti e importanti, furono causa di malumori da parte dei più assidui, tanto che il 2 dicembre 1799 il Console chiedeva al Duca di convalidare le decisioni assunte nell'ultimo "comunitativo convocato" anche se non legittimato "dal numero prescritto dalle statutarie disposizioni". E continuava: "Quei doveri che corrono ad ogni buon cittadino di prestarsi per la Sua Patria, animati le tante volte dal vivo spirito delle superiori provvide cure, o sono estinti o sono non curati per la colpevole indolenza di molti degli individui della Comunità. Fa ribrezzo nel cuore dei buoni a vedere il disordine cotanto moltiplicarsi. Arrestatelo o clementissimo Principe…arrestatelo senza dimora e quando vi sia Persona tanto ritrosa che offenda le leggi, non sia questa per isfuggire il peso del meritato castigo".

La risposta immediata del Duca(da completare)


Natale di guerra, fu quello del 1799, per i Valtaresi, o meglio, se non di guerra vera e propria, tuttavia trascorsa con truppe straniere in casa.

E' del 24 dicembre l'ultima lettera di quel burrascoso anno che dal Borgo parte per Parma. In essa si può leggere: "Per la vicinanza che resta tra Borgo Taro e la Fortezza di Compiano ove risiede la guarnigione austriaca, aumentata in oggi dal Battaglione Paulich, risente la Comunità di detto Borgo fortissimi pesi alle requisizioni del Comandante di quella fortezza, non solo per le diverse già fatte somministrazioni di farine, ma segnatamente per le vetture e trasporti. Le sue forze sono giunte al maggior grado di ristrettezza e non è possibile a poter reggere più oltre dopo tutti gli aggravi che ha dovuto soffrire in tutto il decorso autunno".

Nella lettera si chiede che i trasporti, sempre a carico dei Borghigiani, vengano invece suddivisi tra i due comuni e che quei del Borgo siano obbligati a farli fino al confine della loro giurisdizione e cioè fino alla località detta la Casa Bianca.[10] Don Varsi, che per molti segni appare filoimperiale, nel suo diario a mo' di chiusura degli avvenimenti di quel memorabile 1899, e quasi a voler sintetizzare l'intera vicenda, scrive: "…acquistatosi poi dagli Austro-Russi terreno e recatisi nel Genovesato, i Francesi non si sono più veduti", anche se le cose non andarono secondo i suoi desideri. Infatti è costretto suo malgrado a proseguire il diario di questa guerra tutt'altro che finita E lo fa con grafia più minuta del solito, e senza accenno a particolari, quasi a voler nascondere, o comunque minimizzare l'accaduto.

Scrive: "Nel decorso della seconda settimana di quest'anno 1800, partiti dalla Liguria alcuni Tedeschi, parte in Compiano, parte in Bardi e centottanta in Borgo Taro, si sono ritirati senza sapersi il preciso motivo.

Finalmente ebbero la grazia di essere lasciati partire da buoni Francesi e così dopo essersi vantati d'avere in pochi giorni acquistata l'Italia, in minor tempo l'hanno subito perduta". E questo è un poco il succo dell'intera vicenda, come la vide don Varsi.

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Che cosa era accaduto da cambiare il corso degli avvenimenti? Come mai le Potenze coalizzate dopo aver riconquistato, in breve tempo, tutti i territori da poco perduti, stavano ora battendo in ritirata, non solo nella nostra valle, ma in ogni parte d'Europa?

Avevamo lasciato Napoleone e la sua Armata in Africa, privi di flotta per poter ritornare. Venuto a conoscenza di quanto stava accadendo in Europa, decise di rientrare senza truppe ed eludendo la stretta sorveglianza degli Inglesi riuscì a salpare e a sbarcare in Francia, insieme a pochi compagni, tra i quali Junot, un personaggio del quale dovremo riparlare.

Approfittando della sua popolarità, Napoleone pensò d'impadronirsi del governo: così, ingigantendo i pericoli di complotti, si fece assegnare i pieni poteri militari per la difesa della Costituzione. Il giorno seguente fu proclamata la soppressione del Direttorio e venne creato un governo provvisorio, retto da tre Consoli, con l'incarico di preparare una nuova Costituzione che venne ben presto approvata. Essa prevedeva che il potere esecutivo fosse in mano ad un Consolato composto di tre Consoli, tra i quali uno (Primo Console) avrebbe avuto l'autorità di un monarca: naturalmente l'incarico di Primo Console se lo prese Napoleone.

Sistemata la situazione politica interna francese, si apprestò a combattere le forze della seconda Coalizione. Come al solito entrò in scena in modo imprevedibile: mentre l'esercito austriaco in Italia, gravitava verso al Liguria, egli valicò le Alpi in una zona impervia: il passo del Gran San Bernardo. Piombò così alle spalle degli Austriaci, ma anziché attaccarli, puntò su Milano per chiuder loro la possibilità di ricevere aiuti e rinforzi. Dopo di che, il 14 giugno attaccò di sorpresa a Marengo, riportando una nuova vittoria. In breve l'esercito francese dilagò nuovamente per l'Italia e si ristabilì ben presto la situazione precedente.
Ecco perché Don Varsi rivide, e li rivedrà per molti anni ancora, i Francesi tornare in Valtaro.
L'Austria fu costretta a firmare la Pace di Luneville (1801) con la quale, tra le altre cose, fu stabilito che il Granducato di Toscana, con il nome di Regno d'Etruria, passasse a Lodovico di Borbone figlio del nostro Duca e, come già s'è detto, genero del Re di Spagna, avendone sposato la figlia.

La notizia è importante ai fini della nostra narrazione poiché, in compenso di ciò, alla morte del nostro Duca, nel Ducato di Parma si sarebbero definitivamente insediati i Francesi.

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Rifacciamo un piccolo passò indietro con la speranza che il lettore si sia accorto come spesso siamo costretti ad anticipare le grandi linee della storia, per poi meglio ritrovarci nel narrare i particolari fatti che riguardano da vicino la nostra valle. D'altra parte ben difficile sarebbe il capire alcuni avvenimenti locali, senza avere una chiara visione di quelli generali.

Abbiamo detto che quello del 1799 fu un Natale di guerra, ma le cose non cambiarono con il nuovo anno e già nel giorno dell'Epifania la Comunità si rivolgeva al Duca per fargli presente che "dopo il prestito forzato di 4.000 zecchini […]si vide coinvolta, per la sua località, da aprile a questa parte, nella guerra, senza chiedere dal Paterno Vostro Cuore una qualche provvidenza che minorasse la deprecabile sua condizione pel continuo passaggio e permanenza delle truppe Belligeranti […]. Cessate ben presto le pubbliche risorse ed esausti col mezzo di requisizioni e ripetuti sussidi d'ogni genere, le facoltà dei suoi abitanti, si vede in oggi nell'impossibilità di poter secondare da per sé sola le continue spese che segnatamente occorrono per i Quartieri d'Inverno[11] presi in Borgo Taro da una porzione del Battaglione Imperiale Taic-Bonat […] implora quindi la Comunità un sussidio in contante che basti ad assicurare la buona armonia delle Truppe cogli abitanti, la sussistenza delle famiglie miserabili impiegate in serviggio dell'armata, e messe a carico di questo Pubblico".

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Le cose non migliorarono perché nuovamente il 22 gennaio la Comunità si lamentava che "…non ha avuto chi la soccorra nel corso della triste vicenda di una Longa Guerra, e fra lo sterile delle sue montagne sospirosa attende un qualche sollievo […]. Di già buona parte degli abitanti delle campagne, vinti dall'inopia, i propi beni e le case loro hanno abbandonato per procacciarsi un qualche ristoro in estere contrade e forse che tal sorte aspetta molte famiglie ancora dei Possidenti [...] stendete A.V.R il Vostro Braccio che ci sostenta dall'ultimo punto fatale delle nostre sventure".

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Proprio in quei giorni in valle tornavano i Francesi. Non si hanno notizie di fatti d'arme, ma è probabile che gli Austriaci abbiano lasciato il Borgo senza combattere, Non è però escluso che tanto gli Austriaci nell'abbandonare la valle, quanto i Francesi nel rientrarvi, si siano lasciati andare alle solite violenze e razzie.

Lo lascerebbe intendere una lettera del Console di Borgo Taro con la quale egli chiede "…per ristorare con le granaglie l'inopia delle famiglie […] la facoltà di provvedersi, a contante, nella città di Parma, munendo la Comunità dell'opportuna licenza di estrarre dalla Città e Ducato, fino al proprio territorio".

Con ogni probabilità le riserve, sia di viveri che di denaro, erano ormai veramente esauste ed il 2 giugno in risposta ad una lettera del Duca, il Console Maggiore Angelo Boveri scrive: "La Comunità di Borgo Taro si è incaricata delle più sollecite cure col mezzo di diversi suoi deputati per rinvenire dai maggiori Benestanti del Paese e delle Ville del suo Territorio, quel gratuito soccorso di denaro che a termini della Sovrana insinuazione doveva impiegarsi a riparo delle indigenti famiglie di detta giurisdizione". La lettera continua facendo presente che si è anche proposto di ricompensare con gli interessi coloro che avessero prestato denaro, ma "…non s' è trovato alcuno imprestante, per essere li Possidenti anche migliori, inabilitati dall'impotenza loro cagionata dalla tenuità dei redditi percetti, e dalle gravissime spese e contributi pubblici di ogni genere che hanno dovuto sostenere in occasione della guerra attuale".

Par di capire che la guerra, ormai lontana, abbia tuttavia lasciato delle ferite gravi. E ciò è comprensibile per una terra che a sufficienza, e anche più, produceva per i suoi abitanti, ma non per sfamare migliaia di soldati.

*

E' ora tempo che ci concediamo una pausa ed anziché seguire il corso degli avvenimenti, chiarire invece al lettore l'organizzazione della nostra Giurisdizione, cercando di dare se non un volto, almeno un nome alle persone che ricoprivano le cariche più rappresentative.

Era, quella di Borgo Taro, una delle giurisdizioni più importanti del Ducato. Oltre il Borgo, il territorio comprendeva le seguenti Ville o Comunelli: Brunelli, Porcigatone, San Martino, Caffaraccia, San Pietro, Tiedoli, San Vincenzo, Valdema, Rovinaglia, Pontolo, Baselica, Gotra, Buzzò, Albareto, San Quirico, Campi, Pieve di Campi, Tombeto, Groppo, Caccarasca, Folta e Codogno. Praticamete se si escludono Belforte e Gorro, allora sotto Berceto, la nostra Giurisdizione comprendeva i territori degli attuali Comuni di Borgotaro e Albareto.

La popolazione del Capoluogo (comprese le località in Sinistra e Destra Taro appartenenti alla Parrocchia di San Antonino), era di 2.368 abitanti, mentre quella dell'intera Giurisdizione era di 8.834 abitanti.

Siamo nuovamente debitori verso don Varsi per averci egli lasciato, nel suo diario, l'elenco delle varie parrocchie con l'indicazione del numero dei rispettivi abitanti, che riportiamo:

Borgotaro San Antonino 2.368
Brunelli San Donnino 302
Porcigatone San Pietro 468
San Martino Rivosecco 119
Canal di Vona San Pietro 250
Caffaraccia San Rocco 257
Tiedoli San Giovanni Battista 509
Ceppin Pontolo San Giovanni e Paolo 270
San Vincenzo Bocco 212
Rovinaglia San Pietro 230
Valdena Santa Maria 270*
Baselica San Benedetto 510*
San Quirico 236
Folta e Tombeto 535
Groppo San Pietro 457
Cacciarasca Sant'Andrea 340
Pieve di Campi San Paolo 276
Campi San Cristoforo 255
Codogno Sant'Antonio e Savino 212
Albareto 312*
Gotra San Michele 295*
Buzzò Natività della Beata Vergine 151*

Le parrocchie segnate con l'asterisco non facevano parte, come non lo fanno tuttora, della Diocesi di Piacenza. Pertanto Don Varsi ne riporta la popolazione complessiva( 1538 abitanti) che abbiamo cercato di suddividere, tenendo conto di alcuni parametri che possono anche non essere condivisi.

Se consideriamo che la popolazione dell'intero territorio italiano di quel tempo era valutata intorno agli 11 milioni, appare evidente l'importanza del nostro comune con i suoi 8.834 abitanti. Una semplice proporzione, basata sull'attuale popolazione italiana, farebbe corrispondere il comune d'allora ad un odierno comune di circa 50.000 abitanti.
Il Comune era retto da un Consiglio Comunitativo formato da ventiquattro Consiglieri, dodici dei quali detti "Civici" in rappresentanza del centro e 12 dette "Rurali", in rappresentanza delle Ville.
Le riunioni del Consiglio, o Convocati, venivano presiedute dal Console che provvedeva alle convocazioni e proponeva gli argomenti da discutere. Rappresentava anche l'organo esecutivo, nel senso che era poi compito suo adoperarsi per mettere in pratica quanto il Consiglio, di volta in volta, aveva deciso. Tra i Consiglieri ve n'era uno che aveva il titolo di Sindaco, carica che non corrispondeva all'attuale: era responsabile in particolare della parte economica.
Nel corso dei Convocati, alcuni consiglieri venivano delegati spesso ad interessarsi di questioni anche importanti per poi riferire al Consiglio.
I Consiglieri non venivano eletti dalla popolazione, ma era il Consiglio scadente che estraeva da un "bussolo" i nomi che venivano poi proposti al Duca per l'approvazione.
Per entrare nel "bussolo" bisognava però possedere determinate caratteristiche per cui, specialmente tra i Consiglieri Civici, erano presenti, da decenni, membri appartenenti alle solite famiglie.
Perché il lettore possa meglio rendersi conto di come la Comunità venisse a conoscere i nominativi di coloro che erano incaricati di governare il Comune, riportiamo una lettera del 12 febbraio 1801, indirizzata dal Primo Ministro al Commissario di Borgo Taro.

"Sottoposta da me a S.A.R la Tabella del nuovo Reggimento formato per l'anno corrente da codesta Comunità, e da V.S. trasmessa con suo foglio in data 2 dello stante, ha confermato la nomina del Maggiore Angelo Boveri nella carica di Console, e ad un tempo in approvare in Consiglieri Civici il dott. Luigi Costamezzana, Sindaco; Capitano Francesco Piccinardi; Tenente Domenico Stradelli; Domenico casali; Cesare Bocci; Stefano Misuracchi; Antonio Celio; Celio Celi; Livio Cassio; Domenico Boveri; Gian Agostino Fenaroli e Giovanni Borella.

In Consiglieri Rurali il Capitano Giuseppe Costa di Tiedoli; Ajutante Pellegro Corbelletta di Tombeto; Mario Costella di Costerbosa; Agostino Agosti di Folta; Carlo Costella di San Pietro; Agostino Sabini di Monti del Groppo; Sergente Bartolomeo Ricci di Cazembola; Antonio Antolotti di Porcigatone; Paolo Baruffati di San Vincenzo; Innocenzo Baduini di Gotra, Michele Zampiccinini di Campi; Sergente Gio Batta Capitelli di Pieve di Campi.

In Cancellieri Ragionati dottor Antonio Rivara e Luigi Zino.

In Difensore dei Pupilli dottor Vincenzo Boveri; in Vicari di Provvigione Cesare Bocci e Antonio Celio; in Fabbricieri Livio Cassio e Domenico Boveri; in Computisti Civici Silvio Piccinardi e Domenico Fenaroli; in Computisti Rurali Tenente Gio Leonardi e Michele Bosi; in Stimatori Andrea Spagnoli e Bartolomeo Spagnoli; in Stradaroli Andrea Gavaini e Francesco Delnevo e in Campari Vincenzo del Chiappo e Vincenzo Spagnoli.

E finalmente per le due Congregazioni alle quali presiede il Giusdicente: per quella di Sanità il Maggiore Angelo Boveri, Console; il dottor Luigi Costamezzana Sindaco; il Tenente Domenico Stradelli e Domenico Casali. E per l'altra, d'Annona il Maggiore Angelo Boveri Console, il dottor Luigi Costamezzana Sindaco, Antonio Celio e Stefano Misuracchi.

Dovrà Ella dunque rendere di tutto ciò intesa l'accennata Comunità per sua regola, e conforme adempimento con stima…"

Praticamente con la "Tabella del nuovo Reggimento" si fissavano, ogni anno, i nomi e quindi le competenze di coloro che avrebbero avuto la responsabilità del buon andamento della vita della nostra Comunità.
Non sarà inopportuno, credo, che ci si soffermi un poco a chiarire le varie competenze legate ai diversi incarichi.
Già s'è parlato del Console e dei Consiglieri. Seguendo la "tabella" troviamo i Cancellieri Ragionati. Costoro redigevano i verbali delle sedute, curavano la corrispondenza, tenevano in ordine l'archivio corrente. La loro funzione era un poco simile a quella oggi svolta dal Segretario Comunale.
Il "Difensore dei Pupilli" era un avvocato ed aveva un compito assai delicato: quello cioè di difendere gratuitamente i minori e le vedove nei loro interessi spesso minacciati dall'avidità dei parenti del capofamiglia deceduto o comunque assente.
I "Vicari di Provvigione" avevano la responsabilità di non far mancare i generi alimentari alla popolazione. Controllavano altresì prezzi, qualità delle merci, pesi e misure. In tempi di carestie e di guerra, il loro compito diventava assai arduo ed impegnativo.
I "Computisti" erano i contabili e, a differenza dei moderni amministratori, non perdevano d'occhio il bilancio. Il loro compito era talmente delicato che ve n'erano ben quattro: due del centro e altrettanti per le ville. Poiché le spese della Comunità finivano per essere in gran parte a carico dei cittadini, l'amministrazione oculata, per non dire sparagnina, era d'obbligo.
Gli "Estimatori" erano altrettanto importanti dovendo stimare, tra l'altro, il valore delle proprietà e le rendite d'ognuno, in base alle quali poi fissare le tassazioni.
Per quanto riguarda gli "Stradaroli", nulla avevano a che fare con gli attuali. Essi sorvegliavano le strade, segnalavano rotture, inconvenienti, consigliavano interventi, prevedevano costi, sovraintendevano ai lavori.
I "Campari" erano un poco i Vigili d'oggi. Non essendovi però traffico motorizzato, il loro lavoro era rivolto a quanto accadeva nei campi. Difendevano i raccolti da danneggiamenti e furti, allora molto frequenti. La Comunità liquidava loro poche palanche: erano i proprietari dei terreni che, in base all'estensione e alla resa dei loro poderi, provvedevano a pagarli, quasi sempre in natura. I campari correvano un grave rischio: in caso di danneggiamento o furto, qualora non avessero scoperto il colpevole, avrebbero dovuto risarcire di tasca propria il proprietario del fondo.
In aggiunta a questi che erano incarichi legati ai bisogni della Comunità, ve n'erano anche altri.
Al Borgo risiedeva il Governatore o Colonnello Comandante la Piazza: rappresentava il Duca ed era responsabile del settore militare. Aveva autorità sulla "truppa regolata" presente per guarnigione sia nel castello che sul territorio[12], e anche sulla Milizia cittadina. A questo proposito non sarà sfuggito al lettore attento che tra i ventiquattro Consiglieri nominati per l'anno 1801, ben sette si fregiano di titoli militari: Maggiore Boveri, Capitano Piccinardi, Capitano Costa, Tenente Stradelli, Ajutante Corbelletta, Sergente Ricci e Sergente Capitelli.
La Comunità di Borgo Taro aveva infatti, per antica tradizione, milizie proprie. Ciò risaliva al fatto che nel 1578, allorché i Borghigiani si ribellarono al principe Landi, si diedero di propria iniziativa nelle mani di Ottavio Farnese, allora Duca di Parma, scegliendolo come loro Principe. E come stato indipendente mantennero, da allora, una loro milizia e godettero di molti e importanti privilegi.
Al Borgo risiedeva anche il Commissario: una specie di Prefetto, anch'esso rappresentante del Duca nel settore giuridico-amministrativo.
Dalle cifre riportate nella "Tabella dello stato passivo e attivo della Comunità dal primo luglio 1798 a tutto il giugno 1799", possiamo ricavare quali fossero gli emolumenti relativi ai vari incarichi. Praticamente solo il Governatore e il Commissario godevano di un emolumento regolare che era di L.2.700 annue. Per gli altri si trattava di piccole indennità: al Console e Consiglieri L. 283 complessive per tutto l'anno; al Sindaco L.60; al Difensore dei Pupilli L.168; al Giudice dell'EstimoL.60.
I servizi espletati dalla Comunità, rapportati ai tempi, non erano pochi.
Funzionava un ospedale civile, figuravano a carico del bilancio comunale un medico( a L…. ) e due chirurghi condotti per L…… (da completare)
Dovevano essere presenti anche le scuole pubbliche perché nella "tabella" risultano tra i "salariati annui" due maestri Repetitori con compenso annuo di lire 684; un professore di Filosofia(L.562); un professore di belle lettere(L.2.062 per dieci mesate); un "maestro di gramatica"(L.1.462).
Un posto di rilievo occupava l'organista della Parrocchiale il cui sussidio annuo era di L. 1.125, a carico della Comunità.
Sempre a carico del Comune vi erano un Bargello[13], alcuni Birri e un Corriere per una "mercede" annua complessiva di L.3.010.
Tra le altre prestazioni, interessante quella relativa alla "regalia" a Sua Altezza Reale(L.1.212), dovuta ai ??…. e quella assai gravosa di L.3.360 alle Reverende Monache di San Paolo.
Si trovano pure a bilancio alcuni impegni per diversi servizi particolari e così L.250 al regolatore dei Pubblici Orologi; L.168 a "chi suona la Campana delle pubbliche scuole[14]; lire 20 allo scopatore del volto della parrocchia; L.28 al Leva-mantici dell'Organo.
In quei tempi si svolgevano al Borgo due mercati settimanali nei giorni di lunedì e venerdì.
Le fiere erano quattro: quella della Pentecoste, di San Bartolomeo, di San Lorenzo e San Matteo. La più importante era quest'ultima che durava tre giorni. Per l'occasione il Borgo era letteralmente invaso da mercanti e compratori provenienti anche dai limitrofi Stati Esteri. Assai frequenti erano gli incidenti, i furti, i litigi e, a volte gli omicidi. Per questi motivi era obbligatorio nell'occasione delle fiere e mercati depositare ogni tipo di arma prima di entrare nel Borgo.
Molti commercianti tuttavia, erano assaliti e derubati lungo le strade che dal Borgo portavano ai paesi limitrofi. La Comunità, per evitare incidenti, chiedeva al Duca il permesso di usare un Ufficiale e alcuni soldati della truppa di stanza al Borgo. Infatti nella "Tabella" più volte richiamata si può notare per l'anno 1798 la spesa di L.168 "all'Uffiziale e soldati per la fiera di settembre".
Ci siamo soffermati a chiarire quale fosse l'organizzazione socio-politica nella quale vivevano allora i Borghigiani, perché senza tali riferimenti diventerebbe difficile comprendere i grandi mutamenti che avverranno pochi anni dopo. Inoltre la "storia" non è tale se non si cala tra la gente cercando di cogliere le condizioni di vita di un determinato periodo, e se non chiarisce come la società, d'in epoca in epoca, abbia risposto o cercato di rispondere, a quelli che erano i bisogni fondamentali dell'uomo.
 
PS: questa è la bozza (incompleta quindi) di un libro che spero di portare a compimento. Se Qualcuno me ne darà il tempo necessario.

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