sabato 17 agosto 2013

SCRITTI: Il viaggio di Elisabetta Farnese.


Il viaggio di Elisabetta Farnese

Domenica, 16 settembre del 1714, nel Duomo di Parma, veniva celebrato il matrimonio per Procura tra Elisabetta Farnese e Filippo V, re delle Spagne.

Francesco Farnese, Duca di Parma, zio e patrigno della sposa, per aver sposato la vedova del fratello, fungeva da Procuratore, in assenza del Re.

Elisabetta aveva allora 22 anni, mentre il marito Filippo V ne contava 31 e nel febbraio di quell’anno era rimasto vedovo, con 2 figli.

Il matrimonio tra i due era stato “combinato” dal Cardinale Giulio Alberoni, allora semplice prelato, che alla corte di Madrid aveva convinto la settantaduenne Principessa Orsini, assai influente sull’ animo del Re, delle virtù “casalinghe” di Elisabetta.

La Orsini, per poter mantenere saldo il suo potere sul Re e di fatto fare il bello e cattivo tempo alla Corte di Spagna, era alla ricerca di una nuova regina che fosse una donnetta dolce e remissiva, senza ambizioni, nè pretese.

L’Alberoni, a quel tempo inviato del Duca di Parma a Madrid, con l’aiuto di salsicce, fiaschi di vino, tortelli, formaggi che faceva arrivare da Parma, era diventato un confidente dell’Orsini che ben volentieri lo accoglieva nelle sue stanze per assaporare tante prelibatezze.

A lui la Principessa confidava di essere alla ricerca di una sposa per il Re, ma di non trovarne con le qualità da lei volute. Così un giorno, con noncuranza, come se la cosa non lo interessasse, lo scaltro prelato parlò della presenza a Parma di una giovane e bella principessa. Una ragazza provinciale, docile e remissiva, dedita ai lavori di cucito, amante della cucina: una nullità, insomma.

La Orsini cadeva ben presto nel tranello tesogli e, malauguratamente per lei, dopo uno scambio di ritratti, convinceva il Re a scegliere come sposa la principessa parmigiana.

S’accorgerà a sue spese, l’Orsini, che Elisabetta, pur provenendo da una piccola e modesta Corte, non era tutta “formaggio e butirro”, ma conosceva diverse lingue, era una provetta amazzone, era indipendente, possedeva un caratteraccio: insomma una piccola peste in miniatura.

*

Terminati gli sponsali, Elisabetta si tratteneva per qualche giorno a Parma e il 22 settembre, dopo che era giunta notizia dell’arrivo nella rada di Sestri Levante delle galee e dei vascelli spagnoli, con il suo seguito si metteva in viaggio per il porto ligure da dove avrebbe poi affrontato il viaggio, via mare, per raggiungere la Spagna e il marito.

Il lungo corteo, preceduto dal bagaglio della regina portato da 60 muli, fece tappa a Carona, nei pressi di Fornovo.

Il mattino seguente (23 settembre), il corteo riprendeva il cammino per raggiungere Borgotaro.

Nonostante il Duca avesse fatto da tempo appianare le strade, con l’apertura anche, a forza di scalpello, di un sentiero sul fianco della Rocca Murata, il viaggio fu talmente disagevole che il corteo giunse a Borgotaro in piena notte, tanto che la Regina decideva di trascorrervi anche l’intera giornata del 24.

A Borgotaro veniva ospitata nel palazzo Boveri, la cui facciata veniva abbellita con ornamenti a stucchi in cocciopesto rappresentanti stemmi gentilizi e prodotti del territorio.

All’interno di questo Palazzo avvenne, da parte del Duca, la giuridica consegna di Elisabetta al Cardinale Acquaviva, della quale consegna stese il rogito il Marchese Santi.

A ricordo di questo passaggio la comunità borgotarese farà erigere in onore della Regina un monumento che resta ancor oggi l’unico in Europa.

Il 25 settembre il corteo ripartiva, diretto al Passo delle Cento Croci, estremo confine del Ducato con la Repubblica di Genova, mentre la Duchessa madre veniva costretta a restarsene a Borgotaro per evitarle un viaggio faticoso

Al passo, sotto un ampio padiglione, la Regina si separava dal Duca e prendeva congedo dalla Corte Ducale. Veniva così presa in consegna dal Cardinale Acquaviva, con l’assistenza di rappresentanti della Repubblica ligure.

Nei giorni precedenti, in una lettera indirizzata al Capitano di Chiavari, il Doge, con “prudenza” tutta genovese, scriveva: “…abbiamo deliberato di darvi l’incombenza dell’accomodamento delle strade che dal detto monte portano a Sestri…vi avvertiamo però che tale accomodamento doverà seguire con quel maggior risparmio che sarà possibile e con l’avvertenza di non far fare lavori né di picconi, né di calcine, mentre la nostra mira è che l’adattamento sol basti per il detto passaggio…”

La sera di martedì 25 settembre, Elisabetta giungeva a Varese Ligure e il dì seguente a Sestri.

Qui sostava nei giorni 27, 28 e 29, ospitata nel Palazzo di Gio Carlo Brignole, dove numerose Autorità liguri l’ossequiarono regalandole anche 24 cassette contenenti “i più squisiti dolci, cioccolatte soprafino, acque odorose, essenze rare e delicate, preziosi ricami, rilievi d’oro e d’argento”.

All’alba di domenica 30 settembre s’imbarcava su una galea del Duca di Tursis, ove a poppa assistiva alla Messa, per dirigersi verso Genova, dove approfittando del fondale più adatto sarebbe salita su uno dei vascelli, per proseguire verso la Spagna.

A Genova, la piccola flotta giungeva alle ore 21. Un viaggio breve, ma reso difficile, forse, dalle cattive condizioni del mare.

In una lettera datata 2 ottobre, inviata a Madrid al proprio ambasciatore Francesco M. Grimani, il Doge scriveva: “ Ha Sua Maestà molto patito il mare nel detto suo viaggio da Sestri a Genova nel quale fu obbligata a mettersi a letto et ancora presentemente se ne risente trovandosi tuttavia alquanto incommodata e pare che da ciò abbia preso motivo per cambiare risoluzione e di fare il viaggio per terra…”

E aggiungeva anche che l’improvvisa decisione di sostare a Genova aveva messo in non poca apprensione la Repubblica “onde noi appena ricevutane la notizia d’un giorno solo avanti il suo arrivo, femmo, nonostante l’angustia del tempo, preparare in S. Pier d’Arena l’alloggio per la Sua Maestà e suo seguito con tutt’il comodo e decoro possibile”.

In effetti Elisabetta non ne volle sapere di proseguire il viaggio via mare.

Proprio il giorno 9 ottobre scriveva alla madre: “Ieri fui a Genova a visitare le Ceneri di San Giovanni Battista…questa mattina sarà la mia partenza per terra verso la Francia. Ieri l’altro s’affogarono in mare qui nel porto 8 o dieci persone…cosa veramente miserevole”.

Ciò preoccupava grandemente le autorità genovesi che si vedevano costretti ad organizzare in tutta fretta un viaggio via terra che presentava non poche difficoltà…e spese.

Il giorno 9 ottobre, alle 17, Elisabetta partiva quindi per Arenzano, dove pernottava e il giorno 10 giungeva a Savona alle ore 22.

L’11 seguente arrivava nel Marchesato di Finale Ligure, dove veniva ospitata nel Palazzo del Governatore, il 12 trascorreva la notte Calizano, per arrivare poi ad Alberga la mezzanotte di sabato 13.

Domenica 14 entrava in Alassio, quindi a Porto S .Maurizio da dove partiva soltanto il giorno 17 per giungere a San Remo e quindi a Ventimiglia, ultima tappa sul suolo italiano(18 ottobre).

La Repubblica di Genova aveva così cessato dall’obbligo che si era assunta di provvedere all’accompagnamento della Regina fino all’ultima città di confine.

*

A Madrid, nel frattempo, erano sorte non poche perplessità sulla decisione di Elisabetta di compiere il viaggio via terra.

La decisione rischiava di mandare all’aria tutti i piani e il programma che alla Corte di Spagna erano stati preparati.

Mentre la Regina abbandonava la Liguria per entrare in Francia, a Madrid già fervevano infatti i preparativi per riceverla, tanto che l’Ambasciatore Grimaldi aveva scritto: “…si calcola che possa comparire in questi Regni nel mese di ottobre ed è allora dubbio ove si porterà S.M. il Re ad incontrarla”.

E ancora il 15 ottobre nuovamente scriveva: “Ha sorpreso ed al pari disgustato questa Corte l’avviso che si hebbe sabbato a notte con corriere straordinario di costì, di essersi mareggiata così fortemente la Regina nel piccolo viaggio da Sestri a Genova, che si era perciò risoluto di farle proseguire il viaggio per terra. Si sono immediatamente spediti gli ordini alla Casa Reale che già stava aspettandola ad Alicante”.

Non sono pochi quelli che fanno risalire alle pressioni esercitate dal Cardinale Alberoni, la decisione di Elisabetta a proseguire il viaggio a piedi.

Se da una parte è comprensibile la ripulsa per un viaggio via mare, da parte di chi al primo impatto ha subito dei…danni, meno comprensibile diventa la lentezza e la tortuosità del viaggio per terra. Quasi che la Regina volesse, a bella posta, accrescer vieppiù il desiderio del giovane Re di incontrare e conoscere la sua sposa che mai aveva veduto se non riprodotta in un ritratto certamente “ritoccato”, come s’usava allora.

Lento e tortuoso, si diceva, il cammino, cui s’aggiungeva a volte il silenzio sulla situazione.

E’ del 5 novembre una lettera da Madrid del solito Grimani che scrive: “Per lo spatio di due intiere settimane non si hebbe qui alcun avviso del viaggio della Regina, il che diede motivo a tutte quelle riflessioni che potevano differire l’arrivo del corriere straordinario. Comparve questi finalmente mercordì a notte colla notizia di essere giunta felicemente la M.S. in Antibes il dì 21 che vale a dire in altrettante giornate di quelle in cui si era da principio divisato il viaggio

E ancora aggiunge: “Si seppe aver allungato in prima il camino…et essersi indi contra le prime disposizioni trattenuta un giorno e mezzo a Nizza”.

E finalmente un accenno al Re: “…intanto il Re impaziente delle dilazioni....si è dato pace nel supposto in cui stava che a quest’ora dovesse la Regina essere già vicina ai confini di questi Regni”.

Ma torniamo a seguire il viaggio, dopo la partenza da Ventimiglia.

Le tappe in terra di Francia furono Nizza, dove prolungava la sosta; Antibes, dove giungeva il 21 ottobre e poi si sa che fu a Marsiglia il 26.

Si perdono poi le tracce dei suoi spostamenti e soltanto da una lettera del 19 novembre si veniva a sapere che giovedì 8 di quel mese era giunta a Montpellier.

A questo punto in Spagna cresceva la confusione. Si temeva che le nevi invernali potessero impedire alla Sposa di valicare i passi dei Pirenei, e di conseguenza diventava impossibile decidere dove la corte e il Re dovessero andare per incontrarla sul suolo spagnolo.

La Principessa Orsini, dal canto suo, cominciava a capire di essere stata ingannata dall’Alberoni, il quale sempre più di rado andava a farle visita e le leccornie di un tempo erano diventate un ricordo.

Ma quello che preoccupava maggiormente l’Orsini erano le notizie che trapelavano sulle abitudini della Regina.

Il solito Grimani, in data 26 novembre, scriveva: “Non è più giunto altro avviso della Regina Sposa dopo quello che si hebbe a Montpellier e secondo le apparenze e non senza sentimento del Re, sarà il di Lei viaggio molto più dilatato di quello che si supponeva. Alla mattina per quanto dicesi vuole alzarsi da letto assai tardi, onde sentita la Messa anticipa il pranzo e cammina di poi solamente una mezza giornata”.

Il 22 novembre veniva segnalata a l’Isle-Jourdain, il 23 a Gimond e il 24 e 25 ad Auch e il 26 a Mirande, quindi a Pau, ai piedi dei Pirenei.

E ancora il 13 di dicembre scriveva: “ Nei giorni passati si ebbe l’avviso dell’ingresso della Regina in Ispagna, avendo passato i Pirenei il giorno 9”.

In precedenza il Re aveva sollecitato l’Alberoni perché andasse incontro alla Regina per convincerla ad allungare il passo, ma il prelato con la scusa di una indisposizione aveva preferito attenderla a Pamplona.

L’incontro avveniva l’11 dicembre. I due s’intesero a meraviglia: Lei voleva godere la vita di Corte, sognava già di andare a caccia tutto il giorno, era giovane e piena di entusiasmi, il prelato desiderava salire molto in alto e manovrare la politica di Spagna all’ombra della Regina.

Nel frattempo fervevano i preparativi per ricevere la Regina.

Il programma, fatto e rifatto decine di volte, prevedeva che l’Orsini e la Corte l’incontrassero a Guadalajara il giorno 23, mentre il Re avrebbe dovuto sostare ad Alcala e una volta informato dell’arrivo della regina, l’avrebbe raggiunta il giorno seguente a Guadalajara.

Ma ancora una volta Elisabetta decideva diversamente, così l’Orsini doveva portarsi a Jadraque, dove arrivava anche l’Alberoni che precedeva di qualche ora il corteo della Regina. Il prelato viene subito convocato dalla Principessa.

E’ l’Alberoni stesso a descrivere in una lettera l’incontro: “…appena entrato nella Camera della Dama venne questa ai soliti rimproveri sopra il viaggio e sopra la risoluzione presa dalla Sua Maestà di rendersi a Guadalajara il 24…Alla Orsini questo ennesimo “detour” non piace minimamente…”.

E aggiunge: “…mi disse che le qualità di questa Regina erano ben diverse da quello che avevo io rappresentato, mentre ogni sua azione era ridicola, e che sino il suo mangiare da paesana faceva conoscere la leggerezza del suo spirito e la povertà del suo talento”.

Per L’Orsini sono giorni neri, per giunta la poveretta non sa che la Regina, addestrata ad arte dall’Alberoni, giungerà intimamente prevenuta nei suoi confronti.

Alle ore 20 arrivava Elisabetta. L’Orsini già piuttosto stizzita dal comportamento dell’Alberoni e dai dispacci tutti negativi avuti dai suoi informatori, scendeva le scale del palazzo come se la Regina fosse lei e non la ragazza appena arrivata.

Comunque le due si abbracciarono, poi l’Orsini mostrava alla Regina le stanze dell’appartamento preparato appositamente per lei.

Scrive ancora l’Alberoni: “Appena Sua Maestà e la dama furono nella camera, questa venne ai soliti rimproveri e in certo modo alle minacce, credendo fosse bene far prova se si potesse in principio intimorire una principessa giovane…

Inoltre l’Orsini faceva capire a Elisabetta che il sovrano aveva piena fiducia in lei, tanto da averle affidato la scelta della sposa e chiedeva quindi la confidenza della regina assicurandola che fra il Re e lei vi sarebbe stata la sua fedeltà di principessa per mantenere le cose nello stato in cui dovevano essere.

A questo punto, Elisabetta urlava: “Tacete! Tacete! Uscite subito di qui!”

Le urla da carrettiere ferivano a morte l’Orsini; mai in vita sua aveva subito un tale trattamento. Pregava quindi la Regina di moderarsi. Elisabetta su tutte le furie gridava: “Arrestate questa pazza!”

Cercava quindi l’Alberoni, il quale in anticamera, sornione, non aveva perso una parola del colloquio.

Chiamate il luogotenente delle Guardie”.

Alberoni s’inchina…Era già tutto pronto.

Non appena si presentò Amenzaga, la Regina, indicando l’Orsini: “Arrestatela. Preparate una carrozza e conducetela alla frontiera con 50 guardie di scorta. Lasciatele soltanto una cameriera e un lacchè, tutti gli altri domestici siano imprigionati”.

Davvero inaudito! E tutto questo senza sentire il parere del suo sposo.

Quando la notizia dell’accaduto arriva a Filippo, per poco non gli prendeva una sincope. Poi, dava l’ordine di sospendere il viaggio dell’Orsini per non esporla, in pieno inverno, ad un viaggio pericoloso per la sua salute. La scorta armata così si fermava prima dei Pirenei, ma per poco.

Non appena la sposa poté incontrare il re, lo prese in disparte e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Quindi si ritirarono nelle stanze private. A lungo si è favoleggiato su quel primo incontro durato fino al pomeriggio seguente, quando partiva un ordine perentorio: “L’Orsini dovrà proseguire il viaggio ed uscire definitivamente dalla Spagna”.

La Regina aveva conquistato il Re. L’Alberoni diventerà Primo Ministro e poi Cardinale.

In seguito, lei vorrà trovare un regno per i suoi due figli avuti da Filippo, lui(Alberoni) sarà preso da manie di grandezza. Insieme combineranno molti guai, regalando all’Europa anche alcune guerre…ma questa è tutt’altra storia e noi convien che qui ci fermiamo.

Giacomo Bernardi

Pubblicato in "Storia di Parma dalle origini ad oggi La città dal 1500 al 1750" a cura del Lions Club Parma Ducale in collaborazione con l'Archeo-Club"(2001)

Foto: Ilario Spolverini: L'arrivo di Elisabetta a Borgotaro.
 

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